domenica 6 dicembre 2009

L'Iso-polifonia albanese, la genialità artistica del suono dell'anima .

L'Iso-polifonia albanese, la genialità artistica del suono dell'anima.
di Brunilda Ternova



"Quando si viaggia da soli si è soli, quando si viaggia in due ti metti a litigare ma se viaggi in tre sicuramente ti metterai a cantare" (antico proverbio albanese della regione di Përmet)




La musica è un mezzo potente di influenza sia della psiche che dell’animo umano attraverso le sue tematiche significative ed emotivamente coinvolgenti. Per il carattere dei personaggi, per le passioni che li dominano e per i sentimenti che esprimono, la musica parla direttamente all’animo di chi canta e di chi ascolta rispecchiando e celebrando così dei valori universali. Il panorama mondiale dei capolavori musicali si costituisce essenzialmente dai fenomeni e dalle manifestazioni delle culture spirituali dei diversi popoli, i quali rivestono un importante ruolo essendo alla base della cultura dell’intera umanità e distinguendosi per lo spirito e il genere unico che ognuno di essi rappresenta.

Patrimonio dell’umanità

In questo contesto l’Iso-polifonia albanese è entrata nella lista dei Capolavori del Patrimonio Orale e Intangibile dell’Umanità il 25 novembre del 2005, unendosi così alle altre ricchezze della cultura albanese già protette dall’UNESCO come il Parco Nazionale di Butrint, la città di Gjirokastër e quella di Berat. L’importante riconoscimento che viene fatto all’Iso-polifonia albanese a livello mondiale, mira a facilitare la salvaguardia di questa forma musicale straordinariamente interessante e unica nel suo genere per la multi-tradizione vocale che possiede, concentrandosi in particolare modo sulla sua divulgazione e trasmissione alle nuove generazioni per mantenerla viva. Di qui la necessità di educare alla conoscenza e all’apprezzamento di questo genere musicale anche perché tramite l’educazione si acquisiscono gli strumenti e le capacità per accedere a questo ricco patrimonio che ci contraddistingue, ma che purtroppo sta andando perduto visto che le nuove generazioni di oggi - bombardate dalla musica commerciale - la sentono molto distante e lontana dai loro interessi.

Quando si parla della musica tradizionale vocale albanese e del suo contesto, si deve specificare che mentre nel nord e nel centro del paese, questo particolare linguaggio dei suoni lo si trova principalmente con una sola voce e si chiama “homofonica”, nella parte meridionale appare generalmente con più voci e viene chiamata “polifonica”. Mentre il termine “iso” si riferisce al ronzio che accompagna il canto polifonico e le sue origini risalgono a tempi lontani e smemorati.

Il ronzio, che si presenta come una risonanza finemente decorata, è effettuato in due modi: il primo è continuo e viene cantato sulla sillaba ‘E’ usando la respirazione disposta a scaglioni; il secondo ronzio è a volte cantato come un tono ritmico e armonico eseguito insieme con il testo della canzone. Viene cantata sia da donne che da uomini ma principalmente l’esibizione è di sesso maschile e accompagna tradizionalmente una vasta gamma di eventi sociali importanti, come matrimoni, funerali, feste del raccolto, le celebrazioni religiose e i vari festival folk.

Iso-polifonie lab e tosk
La musica Iso-polifonica, che è una forma sofisticata di canto di gruppo, fa parte del repertorio musicale di un'area che copre quasi tutto il meridione dell'Albania e dal punto di vista etno-culturale, è tipico di due grandi aree, quella di Toskëria e quella di Labëria.


L’Iso-polifonia Lab
prende il nome dal termine dell’estensione geografica con la quale si chiama la parte sud-occidentale dell’Albania e include le regioni di Vlora, Tepelena, Gjirokastra, Sa¬randa e il distretto di Mallakastra a Fier. Dal popolo stesso di Labëria, il canto polifonico viene considerato misterioso e istintivo, e in generale, come un fenomeno che porta in sé i riflessi della natura, le voci della notte, le voci della terra e del mare di Labëria. Gli albanesi di Labëria sono vissuti e vivono in una terra di alte montagne aspre e rocciose delimitata ad ovest dal mare Ionio, e in generale questa regione ha un clima di montagna con estati fresche e inverni rigidi, ma qua e là anche mediterraneo con l’estate calda e secca e l’inverno umido e mite. L'impatto di tali condizioni naturali ovviamente non poteva non riflettersi particolarmente anche nel canto polifonico Lab, nei diversi modi rappresentativi di questa musica articolati nella regione.

L’Iso-polifonia Tosk
lo troviamo geograficamente incominciando dal lato destro del fiume Vjosa e continuando fino al fiume Shkumbin, e così come in quella Lab, anche quella Tosk viene cantata sia dagli uomini anche dalle donne. La musica iso-polifonica delle regioni di Përmet, Leskovik, Kolonja, Korça, Devoll, Mokra, Opar, Skrapar, Shpati, Myzeqe, Librazhd, Gramsh, Berat si presenta più o meno come un tema con variazioni di tipo ‘Tosk’. Questo genere lo troviamo anche al di fuori dei confini statali dell’Albania, di cui fanno parte gli albanesi che vivono nella parte orientale del lago di Prespa, nella costa occidentale del lago di Ocrida, nel lato sinistro del fiume Drin Nero e nelle vicinanze di Struga, ove cantano con una, due e tre voci. Altresì, troviamo il tipo Tosk della polifonia anche nell’Italia del sud, dove vivono gli Arberesh che lasciarono l’Albania durante l’occupazione ottomana intorno al XV secolo, e anche in Çamëria, nell’Epiro del sud, un tempo territorio albanese abitato dagli albanesi e oggi parte della Grecia.



Sia la polifonia Lab che quella Tosk sono entrambe ricche di forme e di contenuti, tra ballate e canzoni storiche, canzoni liriche, canzoni di lutto, canzoni d’amore, canzoni umoristiche, canzoni sull’emigrazione, ninnananna ecc. Ma un posto specifico meritano le ballate e le canzoni storiche che oltre a essere cantate vengono anche ballate in gruppo. Tra le più tipiche testimonianze del genere storico sono le canzoni di "Skënderbeu trim me fletë”, dove si nota l’alternanza delle voci soliste che creano il cordone armonico che sostiene tutta la canzone; “Gjorg Golemi” o come viene riconosciuto tra gli Arberesh “Gjergj Arianit Komneni” che risale ai tempi di Scanderbeg, “Skënderbeu një menatë” cantata dalle comunità degli Arberesh che continuano ancora oggi a conservare e a tramandare la lingua, le tradizioni e la cultura dei loro avi; “Dhoqina”, diversamente conosciuta come “Doruntina”, è una canzone che troviamo situata in una vasta area del centro-sud che comprende Durazzo, Gramsh, Pogradec, Korça, Permet, Libohova, Argirocastro, Berat, Fier, Valona, Saranda, Çamëria ecc.

Salvaguardia e valorizzazione

Attualmente l'unica istituzione scientifica che si occupa dello studio del folklore albanese è l'Istituto della Cultura Popolare di Tirana, che comprende i dipartimenti di etno-musicologia, di etno-coreologia e di etnografia. L’Istituto pubblica periodicamente una rivista sulla cultura popolare albanese, e presso di esso esiste un archivio molto ricco che raccoglie 60.000 opere di tutta l'Albania. Le principali organizzazioni popolari che operano in questo ambito, per lo più sono stati creati in Albania dopo il 1990, al fine di sostenere il folklore e le tradizioni popolari in generale, sono: “Dora d'Istria” a Permet, “Demir Zyko” a Skrapar, “Folk Society” a Gramsh; “Gruppo Usignolo” a Vlora e Gjirokastër; “Associazione Tirana” a Tirana, “Kastrioti” a Kruja, ecc.

Le principali attività artistiche del folk albanese sono il Festival Nazionale del Folklore che si tiene ogni cinque anni e i suoi inizi risalgono nel 1952 nelle città di Lezha e Tirana per spostarsi poi nelle due città museo di architettura medievale, Gjirokastër e Berat; il Festival Nazionale della Canzone Popolare Cittadina che si svolge a Elbasan; l’incontro degli Rapsod di Lahuta nella città di Lezha; l’incontro delle Orchestre nella città di Korça; l’incontro dei Gruppi Polifonici nelle città di Vlora e Gjirokastër; l’incontro dei Gruppi e delle Società Folcloristici (ONG) nella città di Saranda.




Lo studio del fenomeno

Sono numerose le testimonianze e gli studi dei vari scrittori e studiosi che riguardano l’Iso-polifonia albanese ma noi ci limiteremo a citarne solamente alcuni cominciando con George Gordon Byron (1788-1824) nella sua opera "Child Harold’s Pilgrimage", Marie Wortley Montagu in “Letters and Works”, F.C. Pouqeville nel suo libro “Voyage en Moree, a Constantinople, en Albanie (pedant les annees 1789-1801) che ci dà questa constatazione riguardo la danza cantata della polifonia albanese: “… questi abitanti delle montagne uniscono le danze con le canzoni, che derivano dai secoli gloriosi di Scanderbeg, utilizzate per gettare scredito sugli ottomani”, J.C. Hobhouse “A journey through Albania and other provinces of Turkey during the year 1809-1810”, Zef Jubani (1818-1880) nell’articolo “Sulla poesia e la musica Albanese”, Thimi Mitko in “L’Ape Albanese” pubblicato nel 1874, Auguste Dozon in “Manuel de la Langue Chkipe ou Albanaise” (1879), Spiro Dine in “L’Onda del Mare” (Bulgaria,1908), Eqrem Çabej “Studime gjuhësore-V” (Prishtina, 1975), Spiro Shituni “Polifonia labe” (Tirana,1989), Beniamin Kruta “Polifonia dy zërëshe e Shqipërisë Jugore” (Tirana, 1991), Sokol Shupo “Folklori muzikor shqiptar” (Tirana,1997), Vasil Tole “Folklori muzikor-Polifonia shqiptare” (Tirana,1999) e “Folklori muzikor – Strukturë dhe Analizë” (2000), ecc.



Troviamo delle bellissime tracce della polifonia albanese anche nel campo delle arti visive, come testimoniato da diversi affreschi e dipinti di pittori albanesi e stranieri. Tra i pittori albanesi abbiamo due affreschi del 1744: il primo, dipinto da Kostandin Shpataraku nella chiesa di San Thanasi a Voskopoja, ci mostra un piccolo pastore suonando il piffero; mentre il secondo è un lavoro dei fratelli Zografi e presenta due pastori, l’uno dei quali in secondo piano accompagnato dal bestiame suona il flauto in un ambiente tipico pastorale. Tra i pittori stranieri meritano di essere citati Alexandre Decamps (1803-1860) con il suo lavoro “Albanian dancers”, Leon Gerome (1824-1904) e K.Udvil (1856-1927) i quali entrambi hanno intitolato con lo stesso titolo i loro dipinti “Albanesi che Cantano”, ecc.



Le radici antiche dell’Iso-polifonia
Il materiale sonoro di questa musica in generale è nato e si è sviluppato durante il tempo, in una terra alimentata da secoli da una forte tradizione locale, usufruendo così di notevoli caratteristiche originali e, simultaneamente, riflettendo i diversi aspetti della storia e della vita degli albanesi. Tutto questo svolge un ruolo importante non solo artistico-estetico ma anche di istruzione, ruolo ovviamente influenzato dal modo interpretativo, collettivo oppure individuale. In questo senso, questa musica si presenta come lo strumento che aiuta e promuovere la diffusione di diversi saperi e, avendo come oggetto la natura fisica dei suoni musicali e la loro configurazione, diventa un luogo privilegiato in cui le diverse discipline di vita trovano applicazione trasformandosi così in un sapere codificato. Ecco perché l’Iso-polifonia è stata cantata dagli albanesi in qualsiasi luogo, sia in occasioni di gioia che di disgrazia, nei matrimoni e nei lamenti funebri, prima e dopo le battaglie, dentro casa e fuori in natura aperta, animando i giorni di routine e durante le festività. Al posto degli strumenti è la voce dell’essere umano l’espressione chiara dell’anima trasmutata in arte.

L’esistenza nella musica popolare polifonica di diversi generi, come per esempio le canzoni polifoniche con origine mitologica o i "rituali di danza", dimostra che essa è stata una permanente compagna di viaggio per gli albanesi durante la loro storia. Ascoltando questa forma di canto la prima cosa che ti cade subito all’occhio è la stratificazione antica di origine mitologica con risonanze epiche, legata ad una serie di esclamazioni che riportano in mente le pratiche antiche dei rituali magici e pagani.

Nel libro di Lorenzo Tardo “L’Antica Melurgia Bizantina”, pubblicata nel 1938, troviamo una citazione interessante che ci fa capire l’antichità di questa forma musicale: “…Gli albanesi, odiando la schiavitù ottomana e lasciando la loro terra patria, non portarono con sé né il modello finale musicale di Costantinopoli, e nemmeno l'arte accademica del Protopsalti raffinati, piuttosto portarono con sé la loro tradizione musicale provinciale, montanara e arcaica che risale al 4-5 secolo A.D., al tempo dei Basilei e può darsi anche antecedenti”. La sua antichità viene dimostrata anche dalla costruzione modo-tonal pentatonica di questa cultura musicale, che è riconosciuta come la più arcaica forma musicale nella storia mondiale della musica popolare.

L'Albania, questa terra montagnosa e laboriosa, è stata nei secoli una zona tipica dove si custodivano in modo orgogliosamente tenace dai suoi abitanti relitti storici, archeologici e culturali mantenendo in serbo come filo conduttore con l’antichità i tratti arcaici di una organizzazione sociale, culturale, spirituale e materiale fortunatamente ancora intatti. Davanti alla storia di un antagonistico vivere-morire che nello stesso tempo cerca di affermare e di dissipare per riconfermare una serie continua di chiusura-apertura, che non per forza ha un valore negativo, l’arte del canto polifonico è stata un potente mezzo di comunicazione e il suo esecutore un grande comunicatore di emozioni e sentimenti, germogliando dai più profondi meandri del subconscio di questo popolo.


Per Approfondimenti il Link del sito web UNESCO: http://portal.unesco.org/es/ev.php-URL_ID=38906&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html



(link: http://albanianews.it/arte/061209-isopolifonia-lab-tosk-albanese-patrimonio-umanita-unesco)

giovedì 17 settembre 2009

Arshi Pipa: Montale e l'ombra di Dante.


Arshi Pipa: Montale e l'ombra di Dante.
di Agron Y. Gashi
(Tradotto da Brunilda Ternova)


Arshi Pipa, poeta e filosofo, critico e studioso di letteratura, sviluppò la sua attività creativa nel corso degli anni 1941-44 nella rivista “Critica”, della quale fu fondatore e direttore. I suoi scritti critici sono stati più di natura saggistica, sia quando scriveva appositamente per specifici autori, sia quando scriveva per fenomeni letterari in generale, e anche quando si cimentava in teoria critica.
Fin dai primi scritti, Pipa cerca di appianare alcune questioni legate alla categoria di critica letteraria, con particolare accento sulla critica letteraria albanese. Concepiva la critica come una missione spirituale, che assume le dimensioni di una filosofia poetica e una filosofia d'arte. Pertanto, essendo esperto della teoria della critica, lui la definisce nel piano estetico così come in quello storico, individuando la critica d'arte e la critica letteraria.
Sul piano teorico, Pipa ritiene la critica come una attività logica, mettendo l’intuito al suo centro e portando la materia viva come una ricreazione. La sua definizione mette in mostra la critica come ricreazione di un’opera artistica, come metalegittimazione – legittimazione della legittimazione. Nonostante le premesse che derivano dal suo discorso teorico ed saggistico, Pipa da sempre ha mirato ad una critica specializzata, che avrebbe visto la letteratura come differenza specifica.
Fin dall'inizio, mentre scriveva e analizzava i testi di Noli, Fishta o Migjeni, la sua valutazione viene caratterizzata dall’approccio, mettendo sempre di fronte all'oggetto di studio un altro modello letterario.
In fin dei conti, l’erudizione di Pipa apparteneva di più al campo della filosofia, perciò i criteri di valutazione erano basati su una solida conoscenza teorica.

Montale di fronte a Dante.
Il libro di Pipa, “Montale e Dante” è il primo studio scritto in lingua inglese e adesso anche in albanese che riguarda l’opera di uno dei più grandi poeti italiani, nonché del nobel Eugenio Montale. “Professor Pipa si focalizza nel suo studio sull’influenza che la poesia di Dante ha avuto per Montale. Montale è stato chiamato “dantesco” da alcuni critici, per l’uso frequente della lingua dantesca e per certe affinità con il poeta fiorentino. Con la lettura di Montale attraverso le lenti di Dante, come egli descrive il suo metodo, il prof. Pipa rivela che Dante è stato per Montale non solo un modello per le opere letterarie o linguistiche, ma anche un ideale politico”. Questa è la valutazione riguardo lo studio di Pipa dell'Università del Minnesota, Mineapolis, nel 1968.
Nella prefazione del libro, Pipa ritiene che l'impatto di Montale è stato forte. Tracce delle sue influenze possono essere trovate anche fuori Italia.
In realtà, i lavori in questione, come dice lui stesso, è un tentativo di determinare il livello di impatto di Dante su Montale, e di interpretare la poesia di Montale avendo come riferimento Dante. Pertanto, la conclusione che le opere comunicano tra di loro sempre diventa esplicita nei nostri studi letterari.

Struttura
Lo studio in questione ha una struttura complessa, ma che risponde all’ordine scolastico, e anche alla natura delle letture personali di Pipa e alla interpretazione multidimensionale. Il libro è diviso in sette capitoli, come ad esempio: Leggere Montale attraverso la lente di Dante, La Discesa in Inferno di Montale, la Politica e l'Amore, La Battaglia con Cristo, Un Caso di Emulazione, Appendice e Bibliografia. I titoli dei capitoli sono più dei titoli poetici piuttosto che critici, che testimoniano un processo di lettura selettiva.
I sottotitoli che si trovano all'interno si sottopongono ad un sistema di esaminazione e di argomentazione, che rispondono alla teoria critica, e specificamente alla critica accademica. Quindi, in questo studio si sono pavimentati bene le note iniziali, l’oggetto e i metodi di studio, di ricerca e di indagine multidimensionale, fino all'esame dei risultati della ricerca, come caso di emulazione.

Mentre in Appendice, Pipa ha selezionato e ha tradotto numerosi testi saggistici di Montale, attraverso i quali meglio che altrove si esplora il suo concetto sull’arte e la cultura in generale.

Ambito di Applicazione e Metodi di Studio
Come si è visto, Pipa ha come tema della propria ricerca una parte dell’opera di Eugenio Montale che si connota in vari livelli con quella di Dante, soprattutto creazioni, come ad esempio: Ossi, Occasioni, Bufera, Farfalla, mettendole di fronte alla Commedia Divina di Dante.

La questione dell’impatto di Dante su Montale è stato oggetto di indagine anche da parte di altri ricercatori, sui quali ci informa anche Pipa attraverso il saggio metacritico su Montale in cui si osservano chiaramente molti elementi linguistici dell’opera di Dante che sono incorporati nella struttura della poesia di Montale.
Anche se Montale non aveva mai accettato in modo diretto una cosa simile:
"Io non ho scritto con la Divina Commedia aperta vicino a me” - aveva detto a un critico, mentre quest’ultimo insisteva sulla influenza palese che si osservava.
Arshi Pipa, attraverso il suo studio dimostra la doppia interpretazione; legge il testo poetico di Montale tramite il testo poetico di Dante. La lettura e l’interpretazione di un testo indagando i segni di un altro testo dentro ad esso è segno della scuola poststrutturalista e semiotica, i cui rappresentanti non credono che ci sia un discorso vergine (Barti). In realtà, questo ci riporta alla critica del testo, accompagnata dal metodo dell’analisi logica con dei dati linguistici, stilistici e semantici. In questo modo la lettura dei testi di Dante fornisce una spiegazione argomentata riguardo la poesia di Montale: "La spiegazione non può essere deliberatamente perseguita da Montale", spiega Pipa, procedendo ulteriormente: "Un testo richiama l’altro tramite la risonanza musicale.” Questo accade perché Montale ha assimilato Dante.

Da qui, l'analisi del testo si avvicina al metodo intertestuale, come una ricerca immanente del testo e come un’analisi logica. Pertanto, qui si dimostra che la questione principale, non tratta dei metodi di lavoro per studiare la letteratura, ma la questione dei metodi della letteratura come uno strumento di studio. (Ejhenbaum).

L’ Allegorismo: Montale su Montale.
La critica di Pipa oltre alla lettura e l’interpretazione letteraria riconosce anche la lettura referenziale-contestuale. Un passaggio questo dalla perifrasi all’allegorismo, perché fornisce dati non testuali che hanno avuto un impatto diretto sulla creatività di Montale, e nella letteratura italiana in generale. In questo modo la figura di Montale viene vista nel contesto socio-politico, mettendo in evidenza anche i valori della letteratura europea.
Come per sottolineare lo spazio empirico, l’allegorismo, poiché siamo ancora alle porte dello studio e dell’interpretazione letteraria, Pipa scrive: "... il clima politico in Italia stava cambiando rapidamente e la nuova letteratura, che stava fiorendo, poneva l'accento su questioni politiche e sociali . Montale non è stato coinvolto come altri poeti, anche se il suo verso, dopo una prima immersione nella realtà della politica, generò nuove enfasi.”
Inoltre, Pipa oggettiva i testi di Montale, in cui viene accertata l’avventura dantesca, dalla poesia alla prosa (il racconto) con segni autobiografici, attraverso i quali il modello di vita viene visto con uno status intertestuale a prescindere dal fatto che vengano descritti dall’alta fantasia del tipo dantesco.
Così, passa dall’allegorismo alla lettura della perifrasi. Si scopre l’allusione che va di pari passo con l’allegoria, un corso questo seguito dall’autore empirico e dall’autore estetico.
Secondo Pipa, le tracce di Dante in Montale si esprimono sotto forma di vaghe reminiscenze. L’Analogia tra le figure concettuali di Dante contrassegnate nel testo insieme con i testi di Montale sono oggetto di indagine da parte di Pipa, contemporaneamente anche illustrate in versetti, il che testimonia una ricerca sistematica e argomentativa. L'argomento è una delle caratteristiche principali della critica letteraria.
Così, Pipa indaga le tracce dantesche nel poema intitolato Ossi, Meriggiare Pallido scritta nel 1916. Pipa trova che le idee e la struttura poetica siano di Dante, facendo riferimento anche ad altri ricercatori che hanno concluso che il poema in questione è un esempio di imitazione costante, e ad un altro autore, Pascal. (Bunfiliali).
L’ombra di Dante si manifesta in qualsiasi parte del lavoro di Montale, come dimostra l’analisi comparativa che viene fatta ai testi di Montale, anzi fino alle constatazioni riguardo la fragranza ispiratrice dalla poesia “L’Inferno”, che secondo Pipa fornisce una spiegazione per la poesia di Montale, particolarmente richiamando l'attenzione alla implicazione politica della poesia.

Tuttavia, le creatività costanti dei due poeti sono spesso accompagnate da una divergenza nella formulazione concettuale e teologica.

Allegoria e Allusione

Pipa come punto in comune tra Dante e Montale, trova l’allegoria. Secondo Pipa, l’allegoria caratterizza la forma mentis di Dante. In questo modo Pipa vede le tecniche di scrittura di Montale come varietà dell’allegoria. L’Analisi testuale si mette alla ricerca di varianti equivalenti tra i due grandi poeti.
La lettura dell’allusione e dell’allegoria è una lettura di due estremità tematiche: Amore e Politica. Così, la ricerca e l'analisi delle figure del testo, in questo caso l’allusione e l’allegoria, confermano le vecchie tesi secondo cui la poesia di Montale si basa sui significati suggeriti da parole e frasi interessanti. In questo contesto, si danno degli esempi di codici e figure narrative, come ad esempio: metonimia e omonimia.
In generale, come in altri casi, Pipa cerca le figure concettuali come figure significative estrapolandone l’origine, nel caso della poesia di Montale così come in quella di Dante.
Così, attraverso l'analisi sottile figurativa e le piccole unità della sintassi (sintassi-stilistica) si scoprono le idee politiche ed estetiche di Montale, che sono ben codificate all'interno del testo e che fungono da principali figure letterarie.
Pertanto, la figura poetica si scompone, si decodifica nel contesto stilistico come pure nel contesto semantico. Poi, si esaminano i poemi narrativi in base ad una analisi testuale e contestuale, scomponendo ogni parola e frase che corrisponde tra di loro. In questo modo, l'interpretazione si concentra sulla polivalenza del linguaggio poetico, in tutti i contesti.

La somma delle analisi
L’Analisi della struttura delle opere letterarie di Montale si accompagna ad un'analisi comparativa fono-stilistica. Tale interpretazione è in favore della più profonda comprensione della perifrasi, per aprire il grande dialogo con il testo, per convertire la sua critica in critica di dialogo, avendo per base l’analisi linguistica ed etimologica delle parole e delle frasi poetiche.

L’Analogia, il dettaglio, la reminiscenza, l'immagine, il gioco delle parole e la semantica delle figure concettuali sono nozioni che portano Pipa verso i risultati della ricerca per definire la figura come allegoria visionaria, qualcosa che va oltre la figura e che diventa una strategia, struttura letteraria, da sempre legata alla stretta lettura che legittima quasi tutti i piani del testo:
"Le analogie (del testo) non finiscono qui. ‘Arsenio’ in greco significa ‘male- cattiveria’ e ‘Adam’ in ebraico significa ‘uomo’". Segue l’analisi morfologica del testo (come microstruttura), nella quale si mette in evidenza l’analogia delle classi delle parole di Dante, che sono ben assimilate da Montale.
Questo probabilmente dirige Pipa verso una ricerca poststrutturale, per vedere e concepire queste analogie come una reminiscenza e invariante del testo.


La lettura delle (in)varianti
Le invarianti linguistiche e letterarie funzionano in modo “dinamico” in tutta l'opera di Montale. Come tali, esse hanno a che fare con veri e propri elementi testuali, e in termini latu sensu del concetto, illustrano il profondo gioco di similitudine, dei constanti e dei diversi punti d’incontro. Le invarianti, come dimostrato, contribuiscono a dare una accurata descrizione della struttura dell’opera letteraria. Basato sul sistema che adopera il teorico e comparativìsta A. Marino, Pipa è un profondo ricercatore; indagando le versioni del testo, egli mette in evidenza anche le invarianti strutturali, poiché Montale fa riferimento alla letteratura mondiale come la Divina Commedia, quindi fa riferimento alle invarianti relazionali e intra-comunicative come corrispondenza (contatti) tra le letterature nazionali (ricorda qui l'approccio Coleridge) come quella inglese, americana e francese, e anche le invarianti universali e culturali, con accento sulla cultura biblica. Questi invarianti, sia nell’aspetto fono-stilistico, sintattico-stilistico e semantico-stilistico si mostrano sempre sotto forma di reminiscenza sfocata.

Analisi testuale del lessico

L’Analisi di Pipa, essendo polivalente, lascia i principi metodologici e si lancia in analisi testuali di lessico indagando le connotazioni del lessico semantico. Per ogni parola Pipa osserva, scompone il significato delle frasi o gruppo di parole, ma anche le connotazioni e il significato secondario.
Pertanto, l'analisi di Pipa è analisi progressiva (Barti), poiché essa segue una procedura specifica: parola dopo parola, disintegra il testo in frammenti tematici, frasi e figure essenziali della poesia di Montale, che sono identificati come reminiscenze di Dante. Qui, dalla lettura estetico-semiotico si slitta nella lettura semantica, perciò il discorso critico-estetico si trasforma in discorso contestuale-referenziale. Tuttavia, la ricerca della allegoria è continua; attraverso essa si indagano le linee di scrittura di Dante. Pipa, essendo sempre davanti o dietro al modello del suo oggetto, Montale, rafforza il testo con il discorso critico argomentativo, suo elemento base di approccio.
La natura di tale lettura, espone i primi significati e la figura viene letta come una figura doppia, o come l’avrebbe chiamato Pipa come multipla allegoria.

Analogia doppia
In aggiunta a Dante, Montale ha delle analogie letterarie anche con Petrarca, sia nell’ambito tematico e in quello stilistico e formale, così come nella struttura dei personaggi. Pertanto per Pipa diventa riferimento anche la constatazione di Montale stesso quando sostiene che il suo stile è petrarchesco, soprattutto con il poema “Finisterre”, che considera come un sviluppo della sua esperienza stilistica. Secondo Pipa, la poesia di Montale consiste di più nella scia delle azioni, nel carattere dei personaggi, nel posizionamento dell'autore di fronte al personaggio lirico, come l'impegno e l'amore di Petrarca per Laura, Beatrice per Dante. Quella in cui Pipa insiste è l’analogia nella descrizione di alcune caratteristiche fisiche delle donne, che sono la maggior parte in analogia con Petrarca anziché con Dante. Ma ciò che più ha attratto Montale è stato l’amore trascendentale: "L’Amore di Montale per Clizia è una replica moderna dell’amore di Dante per Beatrice ....". L’Introduzione del codice ‘narrativo’ sexy davanti al grande codice a causa della identificazione e divinazione dei personaggi da un lato, e d'altro canto la descrizione del fisico come esseri umani-terrestri espone un forte impatto teologico e filosofico. Pipa pertanto questo sforzo di estrarre analogie in tali contesti lo chiamerà battaglia per la veridicità. Da qui lo sforzo di assomigliare al grande poeta Dante, crea un’altra variazione per motivi di concetti teologici. Così, questo modello è in parte accolto e in parte respinto, "in una battaglia che diventa dolorosa verso la fine."

Esaminare i Risultati
La materia che viene esaminata in tutte le interpretazioni letterarie infine viene vista come un caso di emulazione e si conclude sempre dato la portata e l'impatto di Dante su Montale, come un desiderio dell'autore per equivalere gli uni con gli altri. Pertanto, le conclusioni si scompongono in alcuni sottotitoli come l’ambivalenza e l’ambiguità, vedendo come ambivalente l'atto della creazione e l'influenza di Dante, mentre il doppio senso va al di là dell’analisi esposte all’ingresso per fermarsi nell’ambiguità dei dispositivi fonetici, come ad esempio: l’eco allitterativa, omofonia e omonimia ecc.
Secondo Pipa l’impatto di Dante su Montale è stato sistematico, a seconda del periodo di tempo. Dalla Divina Commedia prende in modo selezionato elementi che descrivono e illustrano situazioni che commentano la sua poesia.
Infine, Pipa arriva alla conclusione che l'atteggiamento dei due poeti nei confronti della lingua è lo stesso. Questo è evidente dall’analogia nella sintassi: la frase è strettamente intrecciata, domina la conversazione esibita con lunghi frasi e forti congiunzioni. Inoltre, Pipa ritiene che i due poeti hanno come punto di incontro l’allegoria: "il significato allegorico diventa una sorta di significato all’ombra, indistinta e illusoria dopo il significato letterario", per poi concludere che i due poeti sono poeti metafisici. Questo rimbalza Pipa nel campo della critica in filosofia. Là dove iniziano e finiscono tutte le strade del pensiero critico-letterario.

Conclusione
Arshi Pipa ha scritto una tipica critica testuale che si riferisce non solo ad un modello di ricerca. Pipa appartiene a quei genere di studiosi che funzionalizzano la critica immanente della letteratura. La poetica strutturale e post-strutturale, la lettura, la ricerca immanente lo vedono intrinesco con la ricerca delle forme. Quindi, Pipa non casualmente, si riferisce ai teorici che hanno come concetti di base nella pratica letteraria la conoscenza intuitiva. Infine, il metodo immanente della critica letteraria è un metodo strutturale, il che significa lettura dei segni del testo, vale a dire le strutture dei testi letterari.
Infine, l’obiettivo di Pipa è quello di scomporre la pluralità del testo, l’apertura alle sue significazioni. Pipa rimane fedele costante al motto: La critica è un segno della mente matura. Ed è questo il principio che lo guida durante tutta la lettura critica di Montale.

(Titolo in originale: “Arshi Pipa: Montale dhe hija e Dantes” - Agron Y. Gashi)

Tradotto da Brunilda Ternova

lunedì 7 settembre 2009

L’Albanese (Antico) – Viva eredità di una lingua morta?


(Tradotto dall’inglese in italiano da Brunilda Ternova)

Secondo l'ipotesi centrale di un progetto intrapreso dal Fondo Austriaco della Scienza FWF, l’Albanese Antico ha avuto una notevole influenza sullo sviluppo di molte lingue balcaniche. Un'intensa attività di ricerca ora si propone di confermare questa teoria. Questa poco-conosciuta lingua è oggetto di una ricerca basata su tutti i testi disponibili prima di effettuare un confronto con le altre lingue balcaniche. Il risultato di questo lavoro comprenderà la compilazione di un lessico che fornisce una panoramica di tutti i vecchi verbi albanesi.

Lingue diverse nella stessa area geografica, spesso rivelano alcune analogie, nonostante non ci sia alcuna prova di una comune origine. Questo fenomeno, noto come " Sprachbund / famiglia linguistica", è evidente anche nella regione dei Balcani, dove l'albanese, il greco, il bulgaro, il macedone e il rumeno presentano parole e strutture comuni. La questione è se queste lingue hanno influenzato l'un l'altra, o se una lingua specifica è stata determinante nel plasmare l'evoluzione degli altri?
Un progetto da parte del Dipartimento di Linguistica presso l'Università di Vienna, mira a dimostrare che la (vecchia) lingua albanese aveva una maggiore influenza sulle altre lingue balcaniche. Il linguista Dr. Stefan Schumacher e il suo collega Dr. Joachim Matzinger stano intraprendendo delle ricerche pionieristiche in due settori chiave. La fase iniziale prevede un esame approfondito della vecchia lingua Albanese, visto che la ricerca dentro questa lingua è estremamente scarsa in confronto alla moderna lingua albanese. Ciò comprende l'analisi del sistema verbale dell’antico albanese utilizzando tutte le fonti scritte disponibili – è il primo studio di questo tipo. Nella seconda fase, i risultati vengono confrontati con i sistemi verbali delle altre lingue balcaniche per stabilire se si verificano delle somiglianze.

Influenze dall’Albanese.

Essendo responsabile del progetto il dottor Schumacher spiega che la ricerca sta già dando i suoi frutti: "Finora, il nostro lavoro ha mostrato che l’Albanese antico conteneva numerosi livelli modali che ha permesso agli oratori di esprimere una posizione particolare per ciò che veniva detto. Rispetto alle conoscenze esistenti e la letteratura, questi livelli modali sono in realtà più ampie e più sfumate di quanto si pensasse. Abbiamo anche scoperto un gran numero di forme verbali che sono ormai obsolete o sono state perdute a causa di ristrutturazioni - fino ad ora, queste forme sono a malapena state riconosciute o nel migliore dei casi, sono state classificate in modo errato." Queste forme verbali sono cruciali per spiegare la storia linguistica della lingua Albanese e il suo uso interno. Tuttavia, loro possono anche far luce sul rapporto di reciprocità tra l’Albanese e le sue lingue vicine. I ricercatori stano seguendo varie tracce che suggeriscono che l’Albanese ha svolto un ruolo chiave nella Sprachbund / Famiglia Linguistica dei Balcani. Per esempio, è probabile che l'Albanese è la fonte del suffisso dell’articolo determinativo in rumeno, bulgaro e macedone, essendo che questa è stata una caratteristica dell’albanese fin dai tempi antichi.

Letteratura
Questo progetto si basa su tutto quello che abbiamo a disposizione sull’antica letteratura albanese databili tra i secoli 16 e 18. Questa si rivelerà una vera sfida per i ricercatori in quanto dispone di 1.500 pagine di testo, ciascuno dei quali deve essere analizzato con estrema attenzione. Dr. Matzinger dice: "Fino ad ora, poche ricerche sono state effettuate su questi testi, siccome abbiamo a che fare quasi esclusivamente con la letteratura religiosa cattolica, che è stato prima dimenticata e poi è diventato un tabù, in particolare durante l'era comunista. Dopo la caduta del comunismo , questa letteratura emerse di nuovo dalle ombre, ma finora, c'è stata una mancanza di denaro e di conoscenze di base riguardo il cattolicesimo".
A causa del loro ruolo nel progetto FWF, questi testi antichi stanno ricevendo una nuova prospettiva di vita e stano prendendo il loro posto come parte della ricca tradizione austriaca di ricerca in questo campo - anzi, il professore Austriaco Norbert Jokl che è stato ucciso dai nazisti, è noto come il "padre della Albanologia". Jokl senza dubbio sarebbe stato orgoglioso di testimoniare la prima rappresentazione completa dell’antico sistema verbale albanese nella forma del lessico, che deve essere prodotto a conclusione della ricerca. Questo fornirà una base per tutte le indagini future nel sistema verbale della lingua albanese e si rivela preziosa anche per gli studi indo-europei e di linguistica nel suo complesso.

Contati Scientifici
Dr. Stefan Schumacher
University of Vienna
Institute of Linguistics / Indo-European Studies
Dr.-Karl-Lueger-Ring 1
1010 Wien, Austria
T +43 / 1 / 4277 - 41 753
M +43 / 676 / 79 73 521
E stefan.schumacher@univie.ac.at

Austrian Science Fund FWF
Mag. Stefan Bernhardt
Haus der Forschung
Sensengasse 1
1090 Wien, Austria
T +43 / 1 / 505 67 40 - 8111
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Copy Editing & Distribution

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T +43 / 1 / 505 70 44
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link: http://www.fwf.ac.at/en/public_relations/press/pv200805-en.html
Titolo dell'articolo in originale: (Old) Albanian - Living legacy of a dead language?

lunedì 31 agosto 2009

La tempesta in un bichier d'acqua di Del Ponte.


La tempesta in un bichier d'acqua di Del Ponte.

link: http://www.albanianews.it/opinioni/300809-la-tempesta-in-un-bichier-dacqua-di-del-ponte

Forse tutti ricorderanno il libro 'La caccia'. Sottotitolo: 'Io e i criminali di guerra' di Carla del Ponte nel quale, l'autrice ripercorre gli otto anni di caccia a persone che si sono macchiate di delitti orrendi, con accuse che sono arrivate fino a quella estrema di genocidio. Dove, seppur a denti stretti riconosce una sconfitta: "Non sono riuscita a ottenere dalla comunità internazionale l'arresto di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, il capo militare e quello politico dei serbi di Bosnia".


Questo suo libro, messo in giro per tutto il mondo come parte del proprio curriculum prima di intraprendere la strada della diplomazia, in fin dei conti dimostra che,il procuratore del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia appende la toga al chiodo non nel modo che ogni onesto cittadino di questo mondo avrebbe voluto, ma con un fallimento e con soltanto chiacchiere al vento che tuttora girano nei Balcani.

Nel dichiarare il proprio fallimento, quando dice:"Non sono riuscita a ottenere dalla comunità internazionale l'arresto di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, il capo militare e quello politico dei serbi di Bosnia", Carla del Ponte "dimentica" il suo fallimento più grande; Lei per tanti anni aveva nelle celle del proprio tribunale il criminale numero uno di tutti i mali della ex-Jugoslavia, Sllobodan Miloshevic,Accusato di crimini contro l'umanità per le operazioni di pulizia etnica dell'esercito jugoslavo contro i musulmani in Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo, e che solo la sua morte naturale(!!) ha liberato dal grave imbarazzo il Tribunale, che il 14 marzo 2006 ha ufficialmente estinto l'azione penale e chiuso senza una sentenza il più importante processo per il quale era stato istituito.

Nel suo libro, Del Ponte, il capitolo 11°,«Kosovo: dal 1999 al 2007», è interamente dedicato ai crimini di guerra che l'Uck albanese avrebbe commesso nella regione contro serbi e albanesi. Come è stato scritto in alcuni giornali (che come fonte delle loro notizie avevano le parole di Del Ponte) i crimini furono particolarmente efferati e le vittime, prima di essere uccise, sarebbero state usate per l'espianto e il commercio internazionale dei loro organi. Carla Del Ponte prese la vicenda molto sul serio e lavorò all'istruzione di un grande processo che avrebbe coinvolto, tra l' altro, alcuni degli attuali leader del Kosovo indipendente.

Dunque, se per i altri capitoli del libro ormai non si sente più parlare, se non solo perche l'arresto dei criminali di guerra è stato offerto come merce di scambio dalla UE per favorire l'integrazione della Serbia in Europa, il famigerato undicesimo capitolo continua di essere sbandierato da certi gruppi serbi come la prova delle loro ingiustizie fate durante la guerra.

Sono cosi ammagliati dalle parole di Del Ponte, che a forza di scrivere tutti i giorni intorno a questo argomento, ormai non solo la prendono come un fatto realmente accaduto, ma non si risparmiano neanche nel cercare le prove per convincere, se non gli altri, almeno se stessi e Carla del Ponte che tutto quello che lei diceva corrispondeva alla verità.

Pur di raggiungere il loro sogno (e quello di Del Ponte), i serbi non badano alle spese... solo pochi giorni fa, le forze di sicurezza di Kosovo hanno arrestato tre agenti serbi che, approfittando della povertà estrema dei kosovari dopo un lungo periodo di guerra, le offrono cifre enormi per dichiarare il falso in tribunale per quanto riguarda la loro pretesa sull'espianto e il commercio internazionale dei organi fato dagli albanesi.
Ed eco la registrazione con una registrazione ambientale di una di quelle "trattative" degli agenti serbi prima del loro arresto che la potrete guardare in questo articolo in inglese di New Kosova report: http://www.newkosovareport.com/200908121882/Society/Serb-agents-caught-on-tape-bribing-to-secure-false-testimony.html

Guarda il video in lingua inglese: http://www.youtube.com/watch?v=KGYqdvyRXy0&feature=channel_page



(Ringraziamo l’autore Eduart Rustemi per averci dato l’autorizzazione di pubblicare il suo articolo sul nostro blog)

domenica 30 agosto 2009

Il progetto del premio Nobel Ivo Andric, per far sparire gli Albanesi.

Il progetto del premio Nobel Andric, per far sparire gli Albanesi. di Hajro Hajra
(Tradotto da Brunilda Ternova - Titolo in originale: Projekti i nobelistit Ivo Andric, per zhdukjen e shqiptareve.)


Incominciando dal XIX secolo ed fino ad oggi sono stati effettuati dei piani, progetti, memoranda ed elaborati per conquistare le terre Albanesi, per sgomberare parzialmente o completamente gli Albanesi dalle loro terre, per assimilarli e commutarli parzialmente e/o completamente e perfino farli fuori del tutto.
Questo ballo anti-albanese è stato intrapreso nel passato (e continua anche oggi) principalmente da quegli stati e governi statali i quali hanno avuto facoltà di essere così zelanti da mettere in azione tutto un meccanismo, statale e non statale, religioso e non religioso, e tutto il loro potenziale intellettuale contro un intero popolo nella terra dei quali si sono seduti a gambe accavallate.
I loro appetiti da invasori non si sono mai accontentati e sicuramente non si accontenteranno mai, poiché nella logica di chi ha già conquistato rimane sempre quella di conquistarne ancora.
I serbi sono diventati vicini degli Albanesi secoli fa, quando sono sopraggiunti e si sono insediati sotto il Danubio, e come una metastasi hanno continuato ad espandersi giù e ancora più giù verso il sud, incominciando a ridurre continuamente le terre Albanesi, estirpandoli, cacciandoli oppure assimilandoli, metodi questi ben conosciuti agli invasori serbo-slavi di ieri e di oggi.
Il primo programma politico della Grande Serbia è la Nacertania (Il Progetto) di Ilia Garasanin nell’anno 1844.
Un altro documento anti-albanese è il Memorandum di Vasa Çubrilovic che si intitolava “Iseljavanje Arnauta” (La Deportazione degli Albanesi), un referto che Çubrilovic aveva tenuto nel Club Culturale Serbia il 7 marzo 1937 (inviato anche al governo di M. Stojadinovic), dove prospettava il trasferimento forzato degli Albanesi dalle loro terre.
Le proposte di Çubrilovic si appoggiavano sulle idee di Nacertania di Garasanin e sulle “opzioni dell’est” di Nikola Pašić, con l’intenzione di far sboccare nel mare Egeo i confini della Serbia tramite Selanico, e di controllare il Canale di Otranto tramite l’Albania del nord.
Çubrilovic avrebbe continuato a difendere questi punti di vista anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, ripetendo spesso l’idea della pulizia etnica verso gli Albanesi e verso le altre minoranze nel suo rapporto letto il 3 novembre 1944 davanti ai rappresentanti più alti del partito della nuova Jugoslavia.
L’accordo tra la Jugoslavia e la Turchia, stabilito nel 1938 per la deportazione forzata degli Albanesi verso l’Anatolia, era un progetto anti-albanese che seguiva la stessa scia dei progetti precedenti.
Un altro progetto anti-albanese era il famigerato Elaborato di Ivo Andric.
Ivo Andric (1892-1975) era un serbo della Bosnia, che oltre ad essere un scrittore (anzi è stato anche vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1961), è famoso anche come diplomatico con un’esperienza di 20 anni, durante il periodo del Regno Serbo-Croato-Sloveno.
Nel 1937-1939, Andric era stato nominato Viceministro dei Affari Esteri nel governo di Milan Stojadinovic svolgendo attività molto delicate e di grande responsabilità.
A gennaio 1939, dopo una visita a Belgrado del Ministro italiano dei Affari Esteri Galeazzo Ciano che si era incontrato con il capo del governo serbo Stojadinovic (l’argomento dell’incontro era la questione Albanese), quest’ultimo aveva incaricato Andric a elaborare una Promemoria Ufficiale (Aide Memoire) riguardo la questione Albanese per bisogni interni del governo negli affari esteri.
Con molto zelo Andric aveva completato il compito affidatogli, e il promemoria Aide Memoire era già pronto il 30 gennaio 1939.
Questo documento viene conservato nell’Archivio della Serbia, Fondazione di Milan Stojadinovic. E’ stato pubblicato per la prima volta dallo storico croato Bogdan Krizman nel 1977 in «Èasopis za suvremenu povijest» (Revista di Storia Contemporanea), dal titolo “L’Elaborato di Dr. Ivo Andric per l’Albania dell’anno 1939”, accompagnato da un commento.
La pubblicazione di questo documento segreto, aveva fatto nascere in quel momento, molte reazioni e polemiche nei circoli serbi. In Serbia questo documento è stato pubblicato per la prima volta nel 1988 nella rivista “Sveske”, Fondazione Andric. La traduzione integrale che stiamo per offrirvi è stata pubblicata prima nella rivista “Fjala” (La Parola) di Pristina in data 1 maggio 1990, pagine 11-12, ed è anche la prima pubblicazione in lingua albanese dell’Elaborato di Andric, pubblicato in Kosova. Questo Elaborato è stato pubblicato prima in lingua albanese nel 1981, tradotto dall’intellettuale Jusuf Gërvalla nel giornale “Zëri i Kosovës” (La Voce del Kosova) che veniva pubblicato in diaspora e diffuso illegalmente in Kosova e nei altri territori albanesi.

Un altro ufficiale del Ministero dei Affari Esteri del Regno Serbo-Croato-Sloveno, Ivan Vukotic, aveva preparato un altro Elaborato il 3 febbraio 1939. In questo elaborato in modo concreto e palese si parla della frantumazione dell’Albania, come un modo per contrastare l’accesso dell’Italia nei Balcani. Anche questo documento è stato pubblicato in lingua Albanese nel 1990 nella rivista “Kosovarja” (La Kosovara) di Pristina (tradotto da H.H.).
Nella scia dei documenti anti-albanesi fa parte anche “L’Accordo dei Gentiluomini” che riguarda la deportazione forzata degli albanesi verso la Turchia, sottoscritta nella città di Split in Croazia il 1953 tra il Maresciallo Josip Broz Tito e il rappresentante della Turchia Fuad Kyprili. Questo accordo era un rinnovo della Convenzione del 1938.
Tutti questi progetti, piani, e memoranda diabolici non sono né i primi e nemmeno gli unici che si sono stipulati e che continuano ancora ad operare contro gli Albanesi.
Le intenzioni anti-albanesi della Serbia continuano e proseguiranno anche nel futuro. La Serbia anche oggi, in più di un anno di distanza dalla proclamazione del Kosova come stato indipendente, continua a spadroneggiare in parte del territorio di Kosova, mentre riguardo i territori etnici Albanesi rimasti dentro i suoi confini politici continua nel suo terrorismo con la stessa intensità.

Lo stato albanese soffocato dalla corruzione, rischia di essere inghiottito economicamente dalla vicina Grecia, la quale per quello che riguarda la questione Albanese ha avuto e continua ad avere tutt’oggi lo stesso atteggiamento simile a quello della Serbia.
Gli Albanesi del Montenegro e del FYROM, anche se vivono da secoli nelle loro terre etniche, vengono umiliati e continuano ad essere trattati come se fossero forestieri, anche se i capi politici albanesi (che hanno come patria solamente l’interesse personale) parlano di sviluppo dei diritti umani.
Quo Vadis, albanesi?


In seguito il testo dell’Elaborato di Andric riguardo l’Albania visto dal punto di vista serbo. Il materiale è stato tradotto dalla lingua serba in lingua albanese da Hajro Hajra.


* * *

L’ELABORATO DI ANDRIC RIGUARDO L’ALBANIA


I

LA GUERRA BALCANICA E L’ALBANIA


L’uscita dell’esercito serbo nell’Adriatico

Secondo la parte segreta dell’Accordo per l’alleanza tra Bulgaria e Serbia del 26 febbraio 1912, alla Serbia viene riconosciuto il diritto dei territori che fino a quel momento erano sotto l’Impero Turco nel nord e nell’ovest fino alle montagne di Sharr. Facendo riferimento a questa clausola, e avendo come traguardo di assicurare al loro Paese una uscita nel mare, il 15 novembre 1912 le truppe serbe entrano nella città di Lezha e piano piano invadono tutta l’Albania del Nord, fino a Tirana e Durazzo. Il 25 novembre nel giornale “Times” di Londra viene pubblicata la proclamazione di Nikola Pašić dove si dice che la Serbia vuole per sé Durazzo insieme alla parte maggiore dell’entroterra.

La Creazione dell’Albania Autonoma
La Conferenza degli Ambasciatori a Londra nel 1912 prende la decisione di creare l’Albania Autonoma, dando alla Serbia solamente il diritto ad avere una uscita commerciale nel mare Adriatico. Ed è questa Conferenza che il 20 marzo 1913 decide che Scutari deve rimanere parte dell’Albania, ma il Montenegro rifiuta di accettare la decisione delle grandi potenze. La Serbia appoggia questa decisione del Montenegro inviando le sue truppe per rafforzare l’assedio di Scutari. Le grandi potenze decidono il 21 marzo di fare una dimostrazione marittima, dalla quale si astiene solamente la Russia.
Gli incrociatori austro-ungarici, inglesi, francesi, tedeschi e italiani raccolti vicino a Bari obbligano le truppe serbe a ritirarsi dalle loro posizioni vicino a Scutari.

L’Assedio della costa montenegrina.
Il 10 aprile le Grandi Potenze dichiarano l’assedio delle coste montenegrine, perchè il governo del Montenegro continua a tenere Scutari ancora accerchiato, che finisce il 20 aprile.
Intanto Re Nicola è costretto a ritirarsi e il 4 maggio con un telegramma che invia a Sir Edward Gray lascia il destino di Scutari alle Grandi Potenze. L’invasione internazionale di Scutari durerà dal 5 maggio 1913 fino all’inizio della Guerra Mondiale.

II
LA SPARTIZIONE DELLE ZONE DI INTERESSE IN ALBANIA, TRA SERBIA E GRECIA.

Anche se la Serbia fu obbligata a ritirarsi dall’Adriatico e dall’Albania del Nord sotto la pressione delle grandi potenze, soprattutto quella Austriaca, i serbi non perdettero mai le speranze.
Nella dichiarazione del 19 maggio 1913, la quale era un allegato segreto dell’Accordo di Alleanza tra Grecia e Serbia, i due Stati si erano spartiti le sfere di interesse nell’Albania autonoma appena formata. Facevano parte della sfera di influenza greca: i territori che si estendevano a nord della foce del fiume Seman verso il mare, la corsa di questo fiume fino al delta di Devoll, e poi lungo Devoll fino alla Montagna di Kamje. In caso di turbolenze in Albania, i due Stati avevano deciso reciprocamente riguardo la posizione da tenere, e queste erano le richieste minimali esposte all’Albania elaborate in un documento scritto.
III

IL TRATTATO DI LONDRA E L’ALBANIA
Il trattato di Londra stipulato il 26 aprile 1915 tra Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia conteneva riguardo l’Albania queste clausole:
L’articolo 5 dice: “Quattro potenze alleate si divideranno insieme a Croazia, Serbia e Montenegro queste parti dell’Adriatico: (…) Nella parte sud dell’Adriatico che interessa Montenegro e Serbia tutta la costa marittima cominciando da Capo Planca fino al fiume Drin, insieme con i porti importanti di Split, di Ulcinj e di Shëngjin (…) … il porto di Durazzo sarà assegnato allo Stato indipendente d’Albania.
L’articolo 6 dice: “L’Italia prenderà pienamente possesso di Valona, dell’isola di Saseno e anche di un vasto territorio necessario per la loro protezione che corrisponde ai territori tra il fiume Vjosa nel nord-est e nel sud fino ad Himara”.
L’articolo 7 dice: “Nel caso che si venisse a creare il piccolo Stato autonomo e indipendente dell’Albania, l’Italia non contesterà il desiderio di Francia, Gran Bretagna e Russia che i territori del nord e del sud vengono spartiti tra Montenegro, Serbia e Grecia”. “L’Italia avrebbe vinto il diritto di guidare gli affari esteri dell’Albania”.

Fin dal 1915 le Grandi Potenze approvano la spartizione dell’Albania, e Italia, Serbia e Grecia ammettono di avere dei loro interessi nelle terre Albanesi. Finquando ai due Stati balcanici viene dato il diritto di modificare le frontiere, all’Italia viene lasciata Valona e il protettorato su quella parte dell’Albania rimasta smembrata.
IV

L’ALBANIA NELLA CONFERENZA DI PACE

La Posizione delle Grandi Potenze.
Durante la Conferenza di Pace le potenze alleate (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America), avevano proposto riguardo l’Albania in prima battuta gli stessi confini che si erano decisi durante la Conferenza di Londra; riconoscevano la totale sovranità d’Italia su Valona e sull’entroterra dando all’Italia la disposizione per la libera amministrazione dello Stato Albanese sotto il controllo delle Nazioni Unite (Memorandum del 9 dicembre 1919).
La posizione Albanese.
(Contro la disposizione dell’Italia. Per l’indipendenza dell’Albania. Gli argomenti per la modificazione dei confini e per la cessione di Scutari e del Nord Albania)
Gli Albanesi nella loro risposta datata 8 gennaio 1920 non hanno accettato la proposta che all’Italia venisse dato il mandato sull’Albania, sottolineando che questa sarebbe stata la ripetizione della situazione della Bosnia ed Herzegovina.
“Questa soluzione creerà a favore dell’Italia dei confini offensivi contro il nostro Stato, il quale sarà privato dei mezzi per difendersi. Questa da un lato è una preponderanza offensiva, mentre dall’altro è una perfetta condizione di sottomissione strategica. Per ragioni economiche e strategiche noi abbiamo richiesto che venga fatta la correzione dei nostri confini (il corso di mezzo di Drin, Buna e i clan di Kelmendi e di Kastrati), che si erano stabiliti nella Conferenza di Londra del 1913.
Oltre a questa correzione, la nostra delegazione aveva dichiarato che la soluzione migliore sarebbe stata che l’Albania diventasse uno Stato autonomo con i confini dell’anno 1913 e con una amministrazione autonoma. Nel caso che questa soluzione non fosse stata accolta oppure se la parte del sud d’Albania fosse stata annessa ad altri Stati, la nostra delegazione avrebbe chiesto la parte nord dell’Albania fino a Drin. Il nostro Stato ha dei diritti antichi su queste terre – si dice nel memorandum – e il nostro popolo ha versato fiumi di sangue per Scutari soprattutto nella guerra del 1913, nella quale la Serbia perse migliaia di soldati e il Montengro perse 1/3 del suo esercito.

Per accontentare i desideri delle Grandi Potenze le truppe serbe e montenegrine lasciarono Scutari e l’Albania del nord. L’Austria fece intervenire l’esercito. Scutari sarebbe rimasto al Montenegro - se quest’ultimo avesse accettato di lasciare Llovqenin agli Austriaci – in caso contrario sarebbe diventato neutrale, ma il Montenegro rifiutò di lasciare all’Austria questa importante posizione strategica.”
“Scutari è connesso anche con il fiume Buna, che apre una strada naturale di commercio verso il mare per il Montengro. Anche con il Trattato di Berlino, il Montengro fruiva del diritto di navigazione nel fiume Buna. La maggior parte del Lago di Scutari appartiene al Montenegro e a causa della negligenza dei turchi le migliori superfici del Montenegro sono inondate dalle acque del lago. Per questa ragione al nostro Stato interessa la sistemazione di Buna e di Drin, non solo in ragione della navigazione di Buna, ma anche perche in questo modo si possono drenare da 12 a 20.000 ettari di terra fertile e altrettanti ettari diverrebbero terra agricola.”
La Posizione Italiana.
(in base al Memorandum di 10 gennaio 1920)
L’Italia chiede dall’Organizzazione delle Nazioni Unite il mandato di amministrare lo Stato indipendente Albanese. I confini nel nord-est dell’Albania sarano quelli già stabiliti nella Conferenza di Londra. Il confine del sud sarà oggetto di analisi. La città di Valona verrà data all’Italia sotto la totale sovranità, insieme con l’entroterra necessario per la protezione e lo sviluppo della città.


Gli Alleati accettano che Scutari e l’Albania del Nord facciano parte della Jugoslavia.
Proponendo una soluzione generale della questione dell’Adriatico, Clemanso, in qualità di Vicepresidente della Conferenza di Pace, in relazione con la cessione di Rijeka/ Fiume agli italiani, disse a Pašić e a Trumbic il 13 gennaio 1913: “Lo stato Serbo-Croato-Sloveno sarà elevato al suo apice quando possiederà Scutari, Drin e Shëngjin.” Gli Albanesi non accettarono che l’Italia tenesse Valona e prendesse il mandato sull’Albania.
La nostra ultima risposta alla Conferenza di Pace.
Nella nostra ultima risposta alla Conferenza di Pace (il 14 gennaio 1920) abbiamo continuato a difendere la posizione per cui la soluzione migliore sarebbe stata che l’amministrazione dell’Albania (con i confini del 1913) venisse affidata al governo autonomo locale, senza le intromissioni delle potenze straniere. Se questa scelta non fosse stata presa in considerazione, decidendo che parti dei territori albanesi venissero ceduti agli Stati stranieri, la nostra delegazione avrebbe chiesto l’Albania del Nord (allegando una mappa con il confine segnato), per la quale aveva promesso una autonomia.

Il Punto di Vista di Pašić.
Nel momento in cui sembrava che gli Alleati avrebbero permesso all’Italia di rafforzarsi nell’Albania centrale, Pašić nel 1919 faceva presente al governo di Belgrado che era giunta l’ora, obbligati dalle circostanze, di cambiare la nostra politca verso l’Albania.
In quella lettera si dice: “Visto che in Albania non possiamo far ritornare la situazione allo stato precedente, prima dell’evacuazione del nostro esercito e del governo di Esad Pasha, per causa della infiltrazione italiana e del sostegno che l’Italia ha dalle grandi potenze; visto che le grandi potenze vogliono applicare il Trattato di Londra e non esisterà più un’Albania, gli alleati elargiranno all’Italia la città di Valona con l’entroterra ed il protettorato su una buona parte dell’Albania – in queste condizioni noi dobbiamo chiedere altri confini migliori sui territori Albanesi che saranno sotto il protettorato italiano”. “Il minimo che accetteremo dagli alleati sara questo: il confine lungo il fiume di Drin Nero fino al fiume di Drin Bianco e da lì fino al mare”.
“Il massimo che dobbiamo chiedere, in modo che l’Italia prenda meno territori deve essere: il fiume di Mat fino alla sua fonte, poi da lì verso l’est fino al fiume Drin Nero. Cioè, i fiumi Mat e Drin saranno i nostri confini con il protettorato italiano”.

V

L’ INVASIONE ITALIANA DELL’ALBANIA DOPO LA GUERRA E LA RITIRATA DEFINITIVA IN SEGUITO ALL’INSUCCESSO A VALONA.
Dopo la conclusione della guerra, in base ad una decisione militare tra gli alleati, le truppe italiane invadono tutto il territorio Albanese, anzi invadono anche la parte nord che spettava a noi e che ci veniva riconosciuta dal Trattato di Londra. Solamente Scutari era sotto l’occupazione doppia delle truppe francesi e quelle italiane.
Per causa della posizione ostile che l’Italia aveva a quei tempi con il nostro stato Serbo-Croato-Sloveno, noi abbiamo considerato questa invasione militare italiana dell’Albania come il pericolo più grande per la nostra esistenza. Nel suolo Albanese è stata svolta una aspra guerra tra noi e l’Italia. Da lì, gli italiani hanno innalzato la questione montenegrina e macedone, ed anche l’idea della grande Albania fino a Kacanik. Contro quest’ultimi abbiamo svolto delle azioni occultate e altre volte anche aperte, cercando di persuadere i capi albanesi e cercando di servire l’idea “dell’Albania Indipendente” con l’enunciato “i Balcani agi popoli dei Balcani”.
I’insoddisfazione degli albanesi constrinse gli italiani a ritirare le loro truppe dai territori dell’Albania all’inizio del 1920, rimanendo solamente intorno a Valona, da dove a giugno di quell’anno saranno costretti a ritirarsi stipulando un trattato con il governo di Tirana per l’evacuazione totale del territorio albanese, escluso l’isola di Saseno. L’evacuzione dell’Albania fu realizzata grazie all’opposizione organizzata degli albanesi, ma non si deve dimenticare che l’Italia a quei tempi era molto debole sia politicamente che militarmente. Ancora oggi ci sono albanesi che pensano che possono cacciare via gli italiani quando vogliono. Questa loro presunzione è fatale, poiché non vedono che l’Italia fascista odierna non è quella del 1920 dei governi parlamentari di Nitti, Giolitti e Facta.
VI


L’ALBANIA DI FRONTE ALLA CONFERENZA DEGLI AMBASCIATORI
Dopo l’evacuazione dell’Albania dalle truppe italiane la situazione sul terreno si era chiarita, e la Conferenza di Londra a novembre 1912 potè prendere la decisione di riconoscere l’Albania come un Stato sovrano e indipendente. Al posto delle promesse precedenti legate a Valona e al mandato sull’Albania, le Grandi Potenze riconobbero all’Italia solamente il suo speciale interesse per la conservazione dell’indipendeza albanese.
L’Albania entrò nella Organizzazione delle Nazioni Unite con la speranza che questo fatto avrebbe assicurato ancora di più la sua indipendenza. Abbiamo tentato inutilmente prima della Conferenza degli Ambasciatori di realizare la modifica dei confini con Scutari e Drin, sottolineando riguardo Scutari le ragioni storiche, mentre riguardo a Drin le ragioni economiche e quelle dei traffici. L’esperto francese della Conferenza di Londra, Larosch, ci consolava con queste parole: “Il Governo Reale ha sbagliato a non approvare a tempo debito la proposta francese per la frammentazione dell’Albania. Pašić era d’accordo con questa idea, ma il governo di Belgrado rifiutò”. Noi siamo stati obbligati a rinunciare a Scutari e al confine fino a Drin, in modo da non lasciare gli italiani fino a Valona. Visto che sempre abbiamo presentato l’idea del non cambiamento del territorio Albanese e la sua autonomia, come si era deciso nel 1913, si può supporre che questa scelta della Conferenza degli Ambasciatori era a noi gradita. Ma non è così. Le nostre difficoltà nei rapporti con l’Albania e con l’Italia per causa dell’Albania, si stanno accumulando e vanno ancora oltre, anche se l’Albania è stata dichiarata Stato indipendente ed è membro dell’ONU.
LA REPUBBLICA DI MIRDITA.

Mentre la Conferenza degli Ambasciatori stava risolvendo la questione dei confini dell’Albania e l’organizzazione della sua indipendenza, nell 1921 noi abbiamo sottoscritto un accordo di collaborazione con i capi di Mirdita. Si prevedeva la creazione dello Stato libero di Mirdita, il quale sarebbe stato protetto dalle nostre truppe militari del regno Serbo-Croato-Sloveno e i suoi affari esteri sarebbero stati rappresentati dal governo di Belgrado. Il governo di Tirana soppresse questo movimento e noi fummo accusati e condannati davanti all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
VII

IL PATTO DI ROMA, PAŠIĆ, MUSSOLINI E L’ALBANIA
A gennaio 1924, il patto di Roma impose sia a Roma che a Belgrado l’obbligo di rispettare l’indipendenza e il principio di non interferire nei affari interni albanesi, altresì lo scambio reciproco di informazioni riguardo gli affari albanesi. Nonostante ciò, non era un ostacolo per il governo italiano aiutare Fan Noli a luglio 1924 ad organizzare una insurrezione contro Ahmet Zogu, e nemmeno per il nostro governo che a dicembre di quell’anno aiutò A. Zogu a fare irruzione in Albania dal nostro territorio per riprendere il potere. Né Roma né Belgrado potevano far fronte agli intrighi e alle richieste dei loro corrispettivi “amici” albanesi, i quali chiedevano aiuto per conservare il loro potere e/o per venire al potere promettendo fedeltà e collaborazione ma alla prima occasione cambiavano orientamento.

VIII

IL PATTO DI TIRANA E LA SITUAZIONE CHE CREO’ QUESTO PATTO
Dando le direttive ai nostri rappresentanti che avrebbero dovuto lavorare in Albania, Pašić diceva:”…noi desideriamo una Albania indipendente, ma debole e instabile.”
Il tempo testimonia che l’Albania non era stabile, ed era costretta a chiedere aiuto e protezione là dove poteva trovarne. Il sistema politico che era in pericolo da parte degli italiani si rivolgeva a noi per chiedere protezione, mentre quello che noi volevamo far cadere chiedeva la protezione degli italiani. La debole Albania nel 1926 ha chiesto l’aiuto e la protezione dell’Italia, e A. Zogu prima di tutto si assicurò da loro delle garanzie per il suo sistema politico. Nel 1927 accettò l’alleanza militare con l’Italia per 20 anni, prendendo centinaia di milioni di lire per i vari lavori, accogliendo molti istruttori italiani, e posizionando l’Albania dal punto di vista economico e finanziario sotto la dipendenza italiana.
Si venne a creare così un rapporto che assomigliava moltissimo a quello del protettoriato, contro il quale noi avevamo combatuto nella Conferenza di Pace. Quello che ci metteva molto a rischio negli ultimi anni era l’organizzazione militare albanese, le fortificazioni militari e le azioni irredentiste. Osservavamo ovunque l’ampio pericolo delle azioni italiane nel “confine offensivo”, contro il quale avevamo combattuto davanti agli alleati a Parigi e dove avevamo fatto la proposta che all’Italia venisse consegnato il mandato in Albania.
E’ importante che venga sottolineato che solamente noi avevamo protestato e avevamo combattuto contro l’infiltrazione italiana in Albania e nei Balcani. Nessun altro stato dei Balcani ci ha appoggiato in questo. Le due potenze marittime mediterranee, Francia e Gran Bretagna, non si opposero alla chiusura del mare Adriatico. Anzi, Austen Chamberlain nell’incontro con Mussolini a Livorno nel 1926, diede l’approvazione per il Patto di Tirana, mentre tutti i rappresentanti francesi a Tirana consigliavano continuamente Re Zog a non creare confliti con gli italiani.
IX

IL PATTO DI AMICIZIA ITALO-JUGOSLAVO DEL 27 MARZO 1937

Basandosi sulla politica della reciproca amicizia, l’Italia e la Jugoslavia si sono accordati in questo modo riguardo l’Albania: L’Italia ha i suoi interessi vitali a Valona, e questa parte della costiera non ci deve far rischiare; noi dobbiamo capire e rispettare questo interesse degli italiani. L’interesse vitale della Jugoslavia è di non avere delle minaccie nel confine sud della Serbia e nemmeno dal Kosova (popolata da albanesi) e nemmeno da Scutari e Montenegro. Questo aspetto senz’altro è stato preso in considerazione quando nel Protocollo Segreto, insieme con il patto di reciproca amicizia, è stata prevista l’interruzione delle ulteriori fortificazioni nelle zone di Librazhd e di Milot. Per quello che riguarda l’impresa economico-finanziaria con l’Albania, noi non abbiamo e non vogliamo investire niente. Perciò in questo gli italiani rimangono senza concorrenti e noi non facciamo osservazioni al riguardo, a condizione che rimangano entro i limiti del patto segreto che hanno intrapreso dal punto di vista politico, economico e finanziario non chiedendo alcun profitto diretto o laterale. In questo modo il patto reciproco d’amicizia del 25 marzo 1937 creò un “modus vivendi” tollerante tra noi e gli italiani sul suolo albanese, per il quale siamo stati così spesso in conflitto per lunghi anni.
E’ un'altra questione quello che sarebbe successo se questo armistizio in Albania avesse fronteggiato una situazione più pesante e più complessa nel Mare Mediterraneo oppure nei Balcani.

X

LA CONSERVAZIONE E/O IL CAMBIAMENTO DELLO STATUS QUO.

L’Indipendenza dell’Albania diminuisce ma non sparisce.
L’indipendenza di uno Stato nei confronti degli altri Stati stranieri è stato sempre un concetto relativo. Avendo presente le circostanze, questa indipendenza è diventata totale ma è diminuita. Riguardo la politica interna ed estera dell’Albania, oggi non si puo dire che sia indipendente dall’Italia, anche se a livello internazionale viene considerata come uno Stato indipendente. Secondo il diritto internazionale le coste albanesi non sono italiane, ma appartengono ad uno Stato balcanico. L’Italia non è partita ancora per i Balcani, anche se ha già una parte sovrana del territorio a Zarë che non gli offre la possibilita di allargarsi oltre.
L’Italia ha grande influenza in Albania, ma non ha la liberta d’azione. Comunque gli Albanesi si oppongono alla infiltrazione italiana creando molti problemi e rallentandola.

“I Bacani appartengono ai Popoli dei Balcani”
La tradizionale politica della Serbia si racchiude nella espressione “I Balcani appartengono ai Popoli dei Balcani”. Questo principio è stato usato tempo fa nella guerra contro l’Impero Ottomano e contro la Monarchia Austro-Ungarica. La Jugoslavia lo utilizzava con successo contro le disposizioni del Patto di Londra il quale introdusse l’Italia in Dalmazia e in Albania. Per l’attuazione di questo principio abbiamo sempre visto la collaborazione tra i popoli dei Balcani come la garanzia migliore per la pace. Vale a dire la presenza di una potenza nei Balcani per aprire le porte agli intrighi e alle invasioni.


L’Espansione dell’Italia.

Può l’Italia rimanere solamente in quella stretta cintura costale diventando proprietaria sovrana dell’Albania sud-centrale? Noi non abbiamo mai creduto a questa idea neanche 20 anni fa, quando le Grandi Potenze donarono all’Italia la citta di Valona insieme con l’entroterra. Non meno ci crederemo oggi, mentre l’Italia sta manifestando così tanto dinamismo e decisione nella suo politica estera.


Un precedente pericoloso.

La presa di una buona parte dei Balcani da parte di una grande potenza non Balcanica senza nessuna base etnica, non solamente per gli altri popoli balcanici ma anche per noi, è un precedente pericoloso. Altre grandi potenze possono prospettarsi in altre direzioni con le stesse pretese. Per noi è pericoloso, soprattutto il caso dell’Italia in Albania, poichè con il Patto di Londra - con il quale viene riconosciuta agli italiani l’Albania del sud - all’Italia viene riconosciuta anche la Dalmazia del nord. Questo precedente che anima le disposizioni del Patto di Londra in una sezione dei Balcani apre le porte per l’incoraggiamento di altre disposizioni.

La spartizione dell’Albania

In occasione della valutazione di questa questione si deve tener conto che in ogni modo dobbiamo evitare i conflitti aperti con l’Italia. Altresì dobbiamo evitare la totale invasione dell’Albania da parte dell’Italia , poiché ci metterebbe in peericolo in molti punti sensibili: Bokë di Kotorr e in Kosova.
Prendendo in considerazione tutto quello che abbiamo delineato sopra, per noi la spartizione dell’Albania puo essere effettuata come un male indispensabile da accettare e di tale spartizione dobbiamo approfittare il più possibile.

I NOSTRI RISARCIMENTI

I risarcimenti si trovano nel materiale elaborato 20 anni fa, quando si era discusso il caso della spartizione dell’Albania. Il massimo che abbiamo chiesto in passato era il confine che passava lungo Mat e Drin Nero che doveva darci garanzie strategiche del Montenegro e del Kosova.
Oltre a questo dobbiamo assicurarci le valli del Lago di Ohrid, di quello di Prespa incluso anche Pogradec insieme con i paesi tra Prespa e Korça. L’appropriamento di Scutari in questo caso avrebbe grande importanza morale ed economica. Questo ci abiliterebbe a fare grandi lavori idrotecnici guadagnando terre fertili per il Montengro. L’Albania del Nord nel quadro della Jugoslavia rende possibile la creazione di nuovi legami per i traffici della Serbia nell’Adriatico.
La spartizione dell’Albania farebbe scomparire l’attrazione da parte degli Albanesi del Kosova che sotto la nuova situazione sarebbe facilmente assimilabile. Gli albanesi aumenterebbero da 200 mila a 300 mila, ma la maggioranza sarebbero albanesi cattolici i quali non hanno un buon rapporto con quelli musulmani. La questione della deportazione degli albanesi musulmani in Turchia si può fare in nuove circostanze poiché non ci sarebbe niente ad impedirlo.
Belgrado, 30 gennaio 1939


(Tratto dal libro: “Le PULIZIE ETNICHE – La Politica di Genocidio Serbo nei Confronti degli Albanesi” DUKAGJINI EDITORE, Pejë, 2003).

venerdì 24 luglio 2009

Intervista con Artan Shabani all'apertura della Biennale di Praga

Scritto da Arsim Kajtazi (Tradotto in italiano da Brunilda Ternova)


Il 14 Maggio 2009 ha avuto inizio la Quarta Edizione della Biennale di Praga (Prague Biennale) - che si sta affermando nella scena internazionale dell'arte contemporanea. Ma non solo, quest'anno tra i partecipanti partecipa anche un gruppo dei nostri artisti, nella sezione dedicata " Albania&Kosovo".

Arsim Kajtazi - Signor Shabani, ormai ci troviamo vicino all’apertura della Biennale di Praga 4, dove Lei in qualità di curatore ha effettuato la selezione dei artisti Albanesi che si presenteranno in questa creativa rassegna internazionale. Ci può dire qualcosa in più riguardo il Suo concetto selettivo e rappresentativo?

Artan Shabani - Il concetto curatoriale sotto il quale ho la fortuna di presentare un gruppo di artisti Albanesi nella Biennale di Praga 4 si intitola “Vecchie notizie dai Balcani”. Questo progetto viene rappresentato da un gruppo di artisti, i quali, anche se appartengono a stili e a stati diversi, hanno in comune il medium della pittura e l’etnia.
La penisola Balcanica è famosa per i clichè che esporta nel mondo da quasi due secoli – che vanno dai conflitti etnici, religiosi, nazionali, di frontiera, linguistici a quelli sui nomi dei santi, passando per l’incendio delle chiese e delle moschee, il trafugare le icone e gli inni del turbofolk – perciò questo progetto con i suoi artisti tenta di mettere in luce lo sforzo giornaliero che la gente dei Balcani intraprende per vivere la loro vita intima in una micro geografia ambulante e non in una metafora imposta dai titoli dei giornali nazionali e internazionali.
Queste rassegne internazionali, persino quella nella Biennale di Venezia dove l’Albania ha avuto varie modeste esperienze di rappresentazione, pongono la questione delicata della piena sostenibilità, soprattutto finanziaria, dell’arte e della cultura anche in riferimento alla partecipazione dello Stato.

Arsim Kajtazi - Quanto viene seriamente compreso del fatto che dobbiamo intendere la nostra arte e la nostra cultura come uno dei valori e dei meccanismi degni di rappresentanza della nostra cultura nello spirito dell’integrazione culturale europea ed internazionale?

Artan Shabani - E’ giusto ed è il caso di dire e di pensare che l’arte ha un impatto immediato grazie al fatto che crea l’immagine di un Paese. Nel caso dei Paesi come l’Albania oppure il Kosova, l’immagine artistica assume un ruolo prioritario proprio perché ciò che abbiamo esportato nel mondo per molti lunghissimi anni sono principalmente le illustrazioni date dai notiziari televisivi e i clichè conflittuali dei quali ho parlato sopra.
L’Arte Albanese e la sua rappresentazione internazionale richiede una seria e speciale attenzione da parte dello Stato, il ruolo del quale mi sembra molto assente in relazione alle aspettative che i professionisti dell’arte hanno nei suoi confronti.
Nel caso della Biennale di Praga, io non ho avuto alcun genere d’aiuto finanziario da parte dello stato e/o da qualche altro sponsor, eccetto il caso isolato della Promenade Gallery di Vlora, la quale si specializza nella promozione degli artisti internazionali in Albania e di quelli albanesi nel mondo.
Nella Biennale di Venezia, l’Albania si è presentata con artisti stimati come Sisley Xhafa, curato da Andi Tepelena, ma anche con altri come Adrian Paci e Anri Sala. Quest’anno io ho avuto la fortuna di essere stato invitato alla Biennale di Venezia grazie al Progetto Krossing con il ciclo Happy Hours con il quale presento il tema della emigrazione e della sensibilità sociale verso questo fenomeno. La maggior parte di queste iniziative rimangono totalmente individuali e non vengono incoraggiate a livello statale. Questo, secondo la mia personale opinione, è un handicap molto importante, soprattutto in attività internazionali di questo calibro, anche solo per il fatto che gli altri artisti concorrenti vengono sostenuti da strutture sofisticate statali cosa che senza dubbio offre a loro un vantaggio competitivo.
Nella sua selezione ci sono 6 artisti, 4 dall’Albania e 2 dal Kosova: (Driton Hajredini (KS); Ervin Hatibi (AL); Dalip Kryeziu (KS); Alfred Mirashi (AL); Alkan Nallbani (AL); Artan Shabani (AL).

Arsim Kajtazi - In questo caso avete prescelto anche due artisti ben conosciuti dal Kosova, Dalip Kryeziun e Driton Hajredinin. Quali aspetti hanno influenzato la sua scelta riguardo questi artisti?
Predominano gli aspetti creativi estetici dell’arte visiva, oppure ci sono anche altri elementi non estetici che vi hanno spinto in questo caso?
I criteri della presentazione sono stati abbastanza rigorosi da elevare la rappresentazione a livello statale? Questa presentazione significa che ci sono anche dimensioni di collaborazione tra i due ministeri della cultura, oppure che in questo caso il concetto artistico si è elevato al di sopra degli impedimenti e della politica culturale?

Artan Shabani - Lo ripeto, mio malgrado, che da parte dei Ministeri della Cultura di tutte e due i Paesi albanesi non ho avuto nessun aiuto né collaborazione per la rappresentazione di questo progetto. Promenade Gallery è stata l’unica struttura di supporto privato, che promuove in un vasto spettro artisti albanesi e tra questi anche i due artisti albanesi delle regioni del Kosova.
Dalip Kryeziu e Driton Hajredini sono due artisti figurativi di talento, i quali, tramite la loro lunga esperienza in Germania, Svizzera, Danimarca e altrove, hanno conquistato una posizione dignitosa nell’arena dell’arte europea. Anche gli artisti albanesi scelti in Albania sono artisti di provata fama nell’arena dell’arte europea e ciascuno di loro presenta le sue spiccate peculiarità in modo che il quadro dell’arte pan-albanese venga presentato con tutto il suo spettro. E’ da sottolineare il contributo dell’artista Ervin Hatibi che il pubblico pan-albanese conosce principalmente come un poeta di talento, ma lo conosce meno come pittore. Personalmente ho fiducia nel lavoro di ciascuno degli artisti e penso di continuare la collaborazione con loro per presentarli anche nei progetti che intendo intraprendere a Copenhagen, New York, Milano e senza dubbio anche a Vlora (Albania).

Arsim Kajtazi - Ha un pensiero estetico e un suo punto di vista riguardo le attuali correnti artistiche albanesi? Nella Biennale di Praga partecipa in qualità di curatore; sarà possibile scomporre concretamente il suo concetto selettivo in ciò che di particolare nell’arte albanese e internazionale in questo caso gli artisti scelti offrono?
Il fatto che ha deciso di presentare anche il suo lavoro artistico vuol dire che vede se stesso nell’ambito di questo mosaico rappresentativo dei valori dell’arte contemporanea albanese che attualmente si sta creando, oppure è l’ineluttabile finalità estetica del suo concetto di curatore?


Artan Shabani - In realtà questa è la prima volta che io curo una rassegna di questo genere nell’arena dell’arte internazionale. Ho curato anche prima altre attività, ma mai di questo livello. Vorrei sottolineare un fatto, che per quello che mi riguarda, è il filo conduttore di tutta questa importante iniziativa. Io prima di tutto sono un artista, precisamente sono un pittore.
La pittura per me non è semplicemente una professione, ma è realmente una passione che mi anima da quando ero un bambino. E’ da più di venti anni che vedo il mondo con gli occhi dell’artista, o meglio, con gli occhi di un pittore. Ho più di venti anni di esperienza nella professione del pittore, pertanto anche il lavoro di gallerista, di collezionista d’arte e di curatore che esercito da qualche anno sono un logico prolungamento della mia passione per la pittura, essendo anche un buon conoscitore del mondo del arte visiva.
Quando scelgo di lavorare con specifici artisti, seleziono la loro arte con l’emozione del pittore, ma anche con l’occhio del professionista che sa distinguere l’arte molto buona da quella meno buona. E’ questa probabilmente la mia nota distintiva in questa importante iniziativa artistica.
Per quello che riguarda l’arte albanese in generale, sinceramente penso che noi veramente abbiamo un arte ottima e degli artisti ottimi. La nostra tradizione della pittura è realmente una scuola della quale non solamente dobbiamo essere orgogliosi, ma dobbiamo anche meditarci su per trarre ispirazione.
Senza dilungarmi troppo, vorrei citare i nomi di Ibrahim Kodra, Zef Shoshi, Omer Kaleshi, ma anche di altri che continuano a onorare l’albanismo nell’arena internazionale dell’arte visiva. Non penso che siano finiti i talenti, ma penso che manchino le strutture adeguate per accompagnare questi talenti in modo tale che prendano a germogliare in tutte le loro forme figurative.

Arsim Kajtazi - Cosa pensa che debbano fare le nostre rispettive istituzioni artistico-cuturali statali, per far si che la nostra cultura venga stimolata, sviluppata e progredita verso livelli internazionali rilevanti?

Artan Shabani - Prima di tutto devono esistere le strutture. In passato, anche se spesso ci riferiamo al passato per i suoi aspetti negativi, malgrado tutto le strutture statali di appoggio all’arte non mancavano. Uno Stato e/o una Nazione per meritare pienamente questa denominazione, dovrebbero collaborare per servire l’arte e viceversa l’arte con essi. Sono ben conosciuti i legami dell’arte con lo Stato e con il potere nel tempo e nello spazio. Per ispirarsi basta che i nostri stati esaminino le strutture statali dei Paesi vicini applicandosi modestamente come loro.
Penso realmente che uno tra i fatti principali che testimonierà l’uscita da questa transizione di vent’anni, estenuante per l’Albania ma anche per il Kosova del dopoguerra, sarà proprio l’impegno serio dello Stato nell’ambito dell’arte. Ovverosia, quando quest’ultimo diventerà pienamente consapevole del reale valore nazionale dell’arte, solamente allora, gli artisti potranno ricoprire il loro ruolo reale nelle nostre società.
Arsim Kajtazi - Che genere di strutture professionali e artistiche si devono plasmare in Albania e in Kosova per riuscire a presentarci degnamente con dei valori creativi contemporanei in tali manifestazioni internazionali?

Artan Shabani - Molte volte ho espresso la mia opinione dicendo che è difficile dare consigli e messaggi ben definiti, poiché i modelli sono ormai risaputi e vengono offerti anche dai nostri vicini che hanno ben capito l’importanza della loro tradizione e della continuità culturale. Non è per niente facile enumerare i vuoti del tuo paese, anche per il fatto che gli albanesi soffrono di carenze vitali rispetto al lusso che l’arte rappresenta a prima vista.
Si deve capire che l’arte non è per niente un lusso, ma è un bisogno reale per la longevità.
Nietzche diceva: “l’arte è l’unica attività metafisica nella quale siamo in obbligo con la vita”. Colui che capisce questo messaggio, soprattutto nel contesto nazionale, non dovrebbe aspettare consigli ma dovrebbe lavorare concretamente per portare avanti questa nobile missione.

http://albanianews.it/interviste/090609-intervista-con-artan-shabani-allapertura-della-biennale-di-praga

Venera Kastrati - Quando la morte si converte in Arte

Scritto da Arjola Hekurani (Tradotto in italiano da Brunilda Ternova)

Lei si interessa da sempre alle situazioni emozionali estreme che muovono l’essere umano, ed ecco perché in una rassegna importante come quella della Biennale di Venezia, ha scelto di presentare se stessa e il suo Paese con una video-istallazione che considera queste emozioni. L’opera dell’artista Venera Kastrati si intitola “I cercatori delle emozioni estreme”, (“Kërkuesit e emocioneve ekstreme”/ “Sensation Seekers”) che nasce come una osservazione delle persone che praticano sport estremi e come analisi psicologica del desiderio e del bisogno di ognuno di oltrepassare ogni limite morale e/o fisico.
Ispiratasi a una storia vera, l’artista narra tramite la sua arte fin dove può arrivare un essere umano per raggiungere uno scopo, e quali mezzi può utilizzare per realizzarlo.
Venera Kastrati partecipa con un gruppo di artisti albanesi alla Biennale di Venezia che è stata aperta il 7 giugno. Robert Aliaj Drago, Artan Shabani, Eliza Hoxha e Klodian Deda sono parte del progetto "Krossing" e rappresentano l’Albania in una delle rassegne internazionali più importanti dell’arte.

Insieme con un gruppo di altri artisti albanesi Lei partecipa alla Biennale di Venezia, in un incontro importante delle belle arti. Come si sente?

E’ una grossa responsabilità. La mia presenza alla rassegna della Biennale "Krossing" è una esibizione in un progetto personale. Attualmente mi trovo alle fasi finali dei preparativi e le emozioni sono fortissime. E’ una cosa meravigliosa vedere il progetto, che fino a ieri era solamente un disegno cartaceo schizzato, diventare realtà.

Come valuta la Biennale di Venezia? Cosa significa per lei questa rassegna?

La Biennale di Venezia è la più antica istituzione internazionale di rassegne artistiche al mondo, e segna la sua prima edizione proprio nell’anno 1895, ma il suo periodo d’oro la Biennale lo raggiunge dopo la Seconda Guerra Mondiale fino al 1968.

Oggi, oltre Venezia si sono aggiunte molte altre rassegne biennali, come per esempio a San Paolo, Johannesburg, Istanbul, Seul, Cuba, per non parlare delle esposizioni a Kassel e Munster.
La Biennale di Venezia rimane in ogni caso un evento importante dove le diverse esperienze si incontrano a un livello istituzionale, e dove si verificano le “nuove tendenze” artistiche.
Possiamo dire che ancora oggi ai giorni nostri che ogni due anni tutto il mondo dell’arte si riunisce in questa bellissima città. "I Giardini", dove si presentano abitualmente gli stand nazionali della Biennale, e “l’Arsenale", altro punto importante aperto nei anni ’80, sono i luoghi principali della rassegna. Ce ne sono anche altri al di fuori di questi spazi che possono avere altre presenze nazionali oppure rassegne laterali ufficiali e quest’anno ammontano a 44.
Una di queste rassegne è il "Krossing" (dove partecipo con il mio ultimo progetto “Sensation Seekers”), il quale si articola in un luogo bellissimo e significativo per la tematica e per l’idea curatoriale della scelta degli artisti. A Forte Marghera, proprio in quella zona strategica che fa da ponte fra Venezia e Mestre, fra terra ferma e laguna, in trasformazione fisica da una machina militare in un spazio pubblico con valori storici particolari. Con il passare del tempo le fortificazioni di Forte Marghera, costruite intorno al 1805 dagli eserciti austriaci e francesi, hanno perso il loro valore militare, appropriandosi di un altro valore: quello del testimone del passato. Una zona di frontiera. Era proprio questo elemento che mi ha incantato per lo sviluppo del mio progetto "Sensation Seekers", realizzato appositamente per la 53-ma Rassegna della Biennale di Venezia.

Come vede questo confrontarsi con artisti da tutto il mondo? E’ questa una crescita della sua creatività artistica?

Certamente anche solo la presenza come visitatore spesso è stimolante e ti carica di nuove energie. Altrettanto la partecipazione personale ti introduce automaticamente nel meccanismo di sperimentazione ed è una esperienza unica nel suo genere.
Come ho già sottolineato prima, l’artista sente la responsabilità più grande nel raffrontarsi con il pubblico e con i mass-media internazionali.

Oltre a se stessa, Lei pensa di rappresentare anche l’Albania in questa rassegna?

E’ il giusto momento in cui la presentazione personale si trasforma anche in una rappresentazione nazionale. Questo mi fa sentire doppiamente carica di emozioni e orgogliosa di aver la possibilità di comunicare con il “mondo” tramite la mia arte.

Perché ha scelto di presentarsi con una video-istallazione?

E’ stato proprio il progetto che mi ha spinto di intraprendere la strada della ricerca di una espressione artistica multimediale. In questa video-istallazione quello che è importante è la comunicazione tramite la fotografia, la ritmica, la musica (quest’ultima con molto virtuosismo e sensibilità è stata realizzata appositamente per "Sensation Seekers" dalla rock band milanese "Circo Fantasma" di Nicola Cereda, cantante, compositore e figura centrale della band).
L’idea è che il pubblico per un attimo dimentichi la presenza dello spazio-tempo e diventi parte integrante dell’istallazione. Così completa il quadro dell’evento, che in realtà non ha un inizio e una fine, ma deve solamente aprire delle possibilità di riflessione e di discussione.

L’opera con la quale si presenta si intitola "Sensation Seekers" cercando di scrutare profondamente nella psicologia umana. Potrebbe fare un’analisi alla sua opera?

"Sensation Seekers", che nella sua forma letterale si traduce in albanese “I cercatori delle emozioni estreme”, nacque come una multi-osservazione delle persone che praticano sport estremi e come un’analisi della proiezione psicologica del desiderio e della necessità di ciascuno di oltrepassare ogni limite, morale e fisico.
La video-istallazione si sviluppa in tre proiezioni. La parte centrale, da dove l’idea prende forma, è stata ricavata da una fonte di informazioni virtuali e reali di una storia degli ultimi tempi accaduta nelle montagne di Aconcagua in Argentina.
E’ il video di un gruppo di alpinisti che praticano questo sport estremo, e della morte tragica della loro guida Federico Campanili.
Invece di pensare a salvare la vita della guida, il quale per ragioni di salute e di difficoltà climatiche incomincia a rassegnarsi, gli alpinisti si focalizzano nell’inseguimento del loro obiettivo che in questo caso occupa il primo posto.

Loro vogliono ad ogni costo raggiungere la cima più alta della montagna Aconcagua in Argentina. Per di più gli alpinisti trattano in modo disumano la Guida del gruppo tirandolo dal collo con una corda. Utilizzano frasi offensive nei suoi confronti, addirittura documentano parzialmente l’accaduto in un video tramite il cellulare. Il gruppo dei alpinisti mostra segni di nervosismo e di panico. La loro meta oltrepassa i limiti della sensibilità umana e il video porta in sé elementi che suscitano indignazione immediata.
Il raggiungimento di un traguardo, i metodi per raggiungerlo e il bisogno di cercare queste emozioni estreme sono i tre elementi chiave del progetto.
Gli altri due video che completano l’installazione sono proprio l’analisi dei due elementi che fanno parte della natura umana, cominciando con la ricerca naturale di queste emozioni estreme nella fase infantile tramite il gioco (in questo caso, l’altalena e il risultato dell’effetto vertiginoso), arrivando fino alle persone che praticano riti ed esperienze religiose (in questo caso la danza dei dervisci) per creare rapporti diretti con le figure divine tramite il vacillare e la perdita o no dell’autocontrollo.

Cosa l’ha ispirato nel realizzazione di questa opera?

Come ho già accennato sopra, il punto di partenza di questo progetto era proprio un video-amatoriale, che testimoniava la morte tragica della guida alpina Federico Campanili, nelle montagne Aconcagua in Argentina e l’analisi psicologica del bisogno umano di cercare emozioni estremi.
Da questo elemento reale, è iniziata la mia ricerca verso gli individui che avevano in comune la ricerca del pericolo, spesso sinonimo del sentire il piacere e il desiderio. La seduzione verso il pericolo deriva dal fatto di aver permesso a se stessi di sentire emozioni forti di vita intensa. La ricerca di queste forti emozioni aggiunge senso alla presenza individuale nel mondo, i colori diventano vividi, il tempo si allarga, pochi secondi vengono percepiti come ore. Il fenomeno di "Sensation Seeking" è una costante ricerca di stimoli nuovi sensoriali, forti e diversi dalla vita di tutti i giorni.
In poche parole, tutti noi siamo rapiti in varia misura dal fattore attrattivo del pericolo e della linea del confine, del vivere “no limits” che cerchiamo in forme di ogni genere.

Nella spiegazione che è stata data alla sua opera si dice che essa è dramma, ambizione, ricerca di fuga dalla realtà e desiderio di sentirsi protagonisti tramite un processo di documentazione piuttosto che di partecipazione. Gli ultimi momenti della vita di un uomo, mentre i compagni restavano indifferenti…Sembra tragico…Ci può raccontare qualcosa in più riguardo questa parte?

Le ricerche psicoanalitiche del fenomeno "Sensation Seeking" spesso premono nella direzione del fattore di bisogno di questi individui di documentare l’esperienza. L’importanza della documentazione del raggiungimento dell’obiettivo è fondamentale, poiché l’uomo è un essere che vive e stimola la sua esistenza nel rapporto con i suoi simili.
Per quello che riguarda gli ultimi momenti della morte tragica della guida nelle montagne Aconcaguas, possiamo dire che l’immagine è così forte e raccapricciante che non c’è bisogno di spiegazioni e di commenti. Ti fa pensare che il limite reale non esiste. L’uomo è predisposto a cercare, ad andare oltre spesso anche rischiando la propria esistenza.

Nel frattempo avete scelto anche una ragazza acrobata che si esibisce all’altalena ed un frammento di danza. Che cosa rappresentano questi elementi?

Infatti, prima avevo già fatto cenno all’argomento del fattore infantile nel "Sensation seeking" e alle sensazioni ricercate dai praticanti religiosi tramite la danza dei dervisci; tutte e due legate dal fenomeno dell’effetto vertiginoso. L’effetto vertiginoso in questo progetto si presenta come l’emozione iniziale e basilare che in un secondo momento, in età più matura, prende un diverso sviluppo nelle forme e nelle dimensioni. Questi sono i cosiddetti “I cercatori delle emozioni estreme”, "Sentation Seekers".

Nella realizzazione di un’opera che cos’è che influisce di più in Lei?

La memoria e l’attualità, il fenomeno della situazione psicologica umana in relazione alla sua collocazione sociale e culturale. Questi sono i punti principali che mi hanno attratto per la realizzazione dell’idea che poi si è sviluppata in diverse forme.

Lei vive e crea in Italia, come si sente lì un artista albanese?

Penso che oggi un artista albanese si trovi in una situazione tale da affrontare ogni genere di difficoltà, come del resto anche un artista italiano. In più, l’artista albanese deve calcolare anche il fatto di essere un “emigrante”, “senza patria”, senza punti di riferimento, con dei vuoti e distacchi dalla passata memoria e con la ricostruzione di una nuova vita, non molto lontano dal fenomeno della distruzione di una casa e la sua ricostruzione. Un fattore questo che conserva in sé difficoltà ma anche positività ed energie nuove.

Oltre alla Biennale di Venezia quali sono i futuri progetti?

Attualmente sono tanti i progetti nei miei piani futuri…ma per il momento preferisco non parlarne.

Fonte: Gazeta Shqip: http://www.gazeta-shqip.com/


http://albanianews.it/interviste/160609-venera-kastrati-quando-la-morte-si-converte-in-arte